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“Women in Medicine”, in 3 anni in formazione oltre 500 professioniste

Dal 1982, Operation Smile ha curato più di 415mila persone e ambisce, entro il 2032, a raggiungere 1 milione di pazienti nei Paesi a basso e medio reddito. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo e per creare un impatto duraturo nel tempo a sostegno dei sistemi sanitari mondiali, è indispensabile coinvolgere ed includere le donne, aumentando la formazione medica, accademica, la ricerca e le opportunità lavorative e di leadership.

Nel mondo le donne rappresentano il 70% del personale medico sanitario, ma ricoprono soltanto il 25% dei ruoli di leadership: uno squilibrio che ha un impatto negativo sui sistemi sanitari. In occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza (11 febbraio), la Fondazione Operation Smile Italia ETS – impegnata nel fornire cure e assistenza sanitaria alle persone con malformazioni del volto nei Paesi a basso e medio reddito – intende ribadire il ruolo strategico delle donne in campo medico, un ruolo che l’Organizzazione promuove attraverso il programma Women in Medicine (WIM), che ha come scopo quello di formare le professioniste dei Paesi a basso e medio reddito in specialità mediche avanzate e di rafforzare la loro leadership.

Il programma “Women in Medicine” è stato lanciato per la prima volta nel 2020 a Oujda, nel nord-est del Marocco ed ha visto in quell’occasione la partecipazione di 95 professioniste del settore medico-sanitario e volontarie di Operation Smile provenienti da 23 Paesi, ognuna con competenze specialistiche diverse. L’iniziativa è stata poi replicata con successo anche in Perù, Malawi, Filippine, Egitto e continuerà nel 2025 con 4 iniziative di formazione chirurgica. Sempre nell’ambito del programma WIM, Operation Smile ha partecipato ad attività come la Women Deliver Conference in Ruanda e i lavori della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne.

L’impegno di Operation Smile è apprezzato anche da Gaya Spolverato, la più giovane primaria di un reparto di chirurgia in Italia, nonché Co-fondatrice di Women in Surgery Italia: “È responsabilità di ciascuno di noi promuovere un ambiente equo in cui l’accesso alle cure e alla formazione sia diffuso e inclusivo. Ispirare le bambine e le ragazze a scegliere materie di studio scientifiche, supportarle nella loro formazione e sostenerle nel mondo del lavoro è un dovere per chi di noi ha avuto la fortuna e la possibilità di scegliere liberamente la propria strada e di vedere realizzati i propri sogni. Ciò che Operation Smile sta promuovendo con il programma Women in Medicine risponde alla necessità di ispirazione, formazione e ricerca alla base di un sistema equo ed inclusivo”.

Nel mondo 5 miliardi di persone non hanno accesso alle cure chirurgiche e si stima servirebbero circa altri 2,2 milioni di chirurghi, anestesisti e ostetrici per soddisfare la domanda globale.

“Per colmare questo gap, il ruolo delle donne è cruciale – sottolinea Marcella Bianco, Direttore Generale della Fondazione Operation Smile Italia ETS – e in Operation Smile siamo consapevoli che l’health equity è strettamente legata alla gender equity. E per riuscire ad ottenere piena ed equa partecipazione delle donne in ambito sanitario è necessario rimuovere gli ostacoli socioculturali che frenano il loro accesso in medicina. Il limitato numero di modelli e leader femminili, nonché di opportunità lavorative, di mentorship e le pressioni sociali rappresentano un ostacolo alla partecipazione e all’avanzamento di carriera. Il nostro obiettivo è incoraggiarle e supportarle concretamente nel superare queste barriere”.

La Fondazione Operation Smile Italia ETS non solo raccoglie fondi a sostegno di queste iniziative, ma mette anche a disposizione il Centro di Cura di Milano, unico hub di formazione di Operation Smile in Europa. Proprio a gennaio il Centro ha ospitato un team multidisciplinare al femminile di 3 specialiste provenienti dall’Honduras.

Fonte: askanews.it

Prof. Aldo Morrone: numero in continuo aumento, chiediamoci se errori in modalità contrasto

Un milione in più di bambine oggi sono vittime delle MGF a causa delle scarse risorse destinate a contrastare questa pratica. È stato questo uno dei temi al centro della Conferenza Internazionale che si è svolta oggi a Roma – presso l’Auditorium del Ministero della Salute – organizzata dell’Istituto Internazionale Scienze Medico Antropologiche e Sociali (IISMAS) di Roma, in occasione della Giornata mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili.

L’incontro, che ha visto la partecipazione di numerosi rappresentanti istituzionali, come il Vice presidente dell’Ordine dei Medici di Roma, Stefano De Lillo, il Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, Angelo Aliquò, Federico Rocca, consigliere del Comune di Roma, e Svetlana Celli, Presidente dell’Assemblea Capitolina, Marietta Tidei, consigliera Regione Lazio, Bertrand Tchana, presidente dell’associazione Medici Africani in Italia, esperti e studiosi italiani e stranieri, è stata l’occasione per discutere su quanto è stato fatto finora per salvaguardare la dignità, l’integrità psico-fisica e la salute riproduttiva delle donne vittime di infibulazione, indicando le azioni concrete di politica sanitaria necessarie per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, tra i quali c’è proprio l’abolizione delle MGF.

‘Se ad oggi il numero delle MGF è in continuo aumento, probabilmente dobbiamo chiederci se non ci siano stati errori nelle modalità di contrasto che abbiamo sino a oggi adottato e ripensare globalmente le strategie migliori per eradicare questa umiliante e dannosa pratica. Un mondo in cui le donne non sono libere, non è un mondo libero e giusto’, ha affermato il professor Aldo Morrone, Direttore Scientifico dell’Istituto Internazionale Scienze Medico Antropologiche e Sociali (IISMAS) di Roma e promotore dell’evento.

‘Se le tendenze attuali dovessero continuare – ha continuato Morrone – il numero di ragazze e donne sottoposte a MGF aumenterebbe in modo significativo nel corso dei prossimi 10 anni. Quello che serve nella lotta alle mutilazioni genitali femminili sono finanziamenti, sensibilizzazione, consapevolezza dell’esistenza della pratica e la necessità soprattutto di operare con le comunità per trovare anche soluzioni pratiche. Rafforzare i sistemi socio-sanitari di tutela della salute delle donne, anche con il coinvolgimento delle persone che eseguono le MGF, facendo abbandonare loro questa attività, per certi versi, il loro lavoro e riorientando la loro professionalità a favore della dignità e della salute delle donne e bambine, nelle campagne di vaccinazione e di tutela della gravidanza e parto, anche per ridurre la mortalità materno-infantile’.

‘Tanto è stato realizzato per salvaguardare la dignità e l’integrità fisica e psicologica delle donne, ma è ancor più quello che dovremo impegnarci a fare – ha proseguito Morrone -. Infatti se ad oggi il numero delle MGF è in continuo aumento, probabilmente dobbiamo chiederci se non ci siano stati errori nelle modalità di contrasto che abbiamo sino ad oggi adottato e ripensare globalmente le strategie migliori per eradicare questa vergognosa pratica. Un mondo in cui le donne non sono libere – ha concluso- non è un mondo libero e giusto’.

I numeri del fenomeno. Si ritiene che oltre 250 milioni di ragazze e donne ancora viventi oggi, siano state sottoposte a una forma di Mutilazione Genitale Femminile (MGF); ma i tassi di MGF sono in netto aumento, come riflesso della crescita della popolazione globale. Nel 2025, si calcola che circa 3,6 milioni di ragazze potrebbe essere sottoposte a questa pratica, se non si interviene subito per contrastarle. Si prevede che questo numero di ragazze mutilate ogni anno possa salire fino a 4,4 milioni nel 2030. Questa pratica è ancora attiva in oltre 30 Paesi tra Africa, Medio ed Estremo Oriente, ma il fenomeno interessa anche donne immigrate che vivono in Europa occidentale, Nord America, Australia e Nuova Zelanda.

Oltre la metà delle ragazze che ha subìto una forma di MGF non aveva compiuto ancora cinque anni di vita, mentre sarebbero almeno 44 milioni le bambine e adolescenti ad averle subite prima dei 14 anni. In questa fascia di età, la prevalenza maggiore è stata riscontrata in Gambia, con il 56%, in Mauritania con il 54% e in Indonesia, dove circa la metà delle bambine fino a undici anni avrebbe subito una delle diverse forme di mutilazione.

Anziché diminuire con il tempo, queste pratiche sembrano diventare ancora più diffuse, anche a causa del fenomeno migratorio, con il risultato di essere oggi presenti anche in paesi dove prima erano sconosciute come nel caso degli Stati Uniti, dove il numero degli interventi è addirittura triplicato negli ultimi anni.

In Italia, una studio condotto dall’IISMAS in collaborazione con l’Istituto San Gallicano (IRCCS) di Roma ha stimato il numero delle donne che ha subito una delle forme di MGF nei Paesi di origine e che vivono in Italia, intorno a 88 mila di cui oltre 7 mila minorenni. Una ricerca condotta dall’IISMAS in collaborazione con la Professoressa Alessandra Sannella dell’Università di Cassino ha rilevato la scarsa ed erronea conoscenza del fenomeno delle MGF tra il personale medico e paramedico che opera in numerosi centri sanitari in Italia, questo dato è di particolare preoccupazione se si vuole contrastare il fenomeno anche nel nostro Paese. È necessario quindi organizzare corsi di aggiornamento e seminari come quello organizzato oggi presso l’Auditorium Piccinno del Ministero della Salute.

L’impegno dell’IISMAS. L’Istituto Internazionale Scienze Medico Antropologiche e Sociali (IISMAS) di Roma da oltre 20 anni è presente nei principali Paesi Africani, in particolare nel Corno d’Africa, nell’Africa Sub-Sahariana e nel Medio Oriente con iniziative volte all’accoglienza, all’ascolto delle donne e delle bambine, con la realizzazione di campagne di sensibilizzazione volte a dissuadere le donne a far praticare le MGF alle bambine. Inoltre ha attivato numerose iniziative per facilitare l’accesso alla scuole per le bambine e realizzato numerosi centri per la tutela della salute materno-infantile sia in aree urbane, ma soprattutto in regioni rurali remote in particolare nel Tigray, devastato da una guerra fratricida e crudele dal 2020 al 2023.

Gli operatori e le operatrici dell’IISMAS attraverso un servizio, multidisciplinare e transculturale, hanno accolto e visitato oltre 4 mila donne sottoposte alle diverse forme di MGF, inserendole in percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali per le necessarie cure immediate e per la prevenzione delle patologie infettive, infiammatorie e neoplastiche più frequenti. L’Istituto ha sempre attivamente lavorato per porre fine alla pratica delle MGF anche attraverso la formazione di personale socio-sanitario ed educativo in vari Paesi a forte tradizione escissoria, in particolare in Africa e in Medio Oriente dove l’impegno costante e strutturale ha portato, in molti casi, all’approvazione di leggi che proibiscono la pratica delle MGF.

I costi delle MGF. LE MGF non sono solo una violazione dei diritti umani e un problema sanitario, ma anche un notevole onere economico, infatti comportano anche un onere economico di 1,4 miliardi di dollari all’anno, che salirà a 2,1 miliardi di dollari all’anno entro il 2047. Attualmente questo costo rappresenta dal 9% al 30% dell’attuale spesa sanitaria pro capite nei 27 Paesi africani con la più alta incidenza di MGF. L’abbandono completo determinerebbe un risparmio di oltre 1 miliardo di dollari che potrebbe essere investito nella prevenzione delle infezioni materno-infantili e nello screening precoce dei tumori femminili come il carcinoma mammario e cervico-vaginale che colpiscono molto più frequentemente le donne infibulate.

La Commissione europea stimava a febbraio 2023 che solo in 13 paesi europei almeno 180.000 bambine continuino a essere a rischio di mutilazione, mentre 600.000 donne convivono con le conseguenze delle MGF in Europa.

Il ruolo del Covid-19 e dei conflitti bellici in Africa e Medio Oriente. Se questi numeri non accennano a diminuire la colpa è stata anche della pandemia di Covid-19 che ha bloccato i programmi mondiali messi in atto per combattere questa terribile violenza e ha tagliato i fondi pubblici destinati al suo contrasto. Il rischio di compromettere i progressi finora raggiunti è elevato, poiché le misure adottate per contrastare la diffusione del Covid hanno costretto all’isolamento molte ragazze vulnerabili, privandole di qualsiasi tipo di protezione. Allo stesso tempo, il lockdown ha aumentato i casi di MGF praticati a domicilio, nell’impossibilità di accesso alla scuola e nella realizzazione di campagne di sensibilizzazione.

Il nesso tra guerre, famiglie sfollate e rischio della pratica delle MGF è molto forte nelle aree devastate dalla guerra come in Sudan e in Tigray.

Sebbene in Etiopia sia legalmente vietata la pratica delle MGF, donne e ragazze continuano ad affrontare rischi elevati di violenza, sfruttamento e abusi, tra cui le MGF soprattutto durante la guerra. Il conflitto in bellico ha portato al crollo dei servizi socio-sanitari e scolastici.

Durante gli sfollamenti con il caos conseguente le pratiche tradizionali persistono, perpetuando il ciclo delle MGF, negando alle donne e alle ragazze la possibilità di agire sui loro corpi e sul loro futuro. Purtroppo il rapporto tra guerra, sfollamento e MGF sottolinea l’urgente necessità di un approccio globale che affronti le cause profonde della pratica e fornisca un supporto completo alle popolazioni colpite.

Occorre coinvolgere comunità, leader religiosi e stakeholder chiave nelle ‘nuove strutture socio-sanitarie’ realizzate dopo i conflitti, e le condizioni di sfollamento per favorire un dialogo necessario, transculturale e multidisciplinare per dissipare miti e promuovere riti di passaggio alternativi che celebrano la femminilità senza ricorrere a pratiche dannose come le MGF.

Nonostante le donne e ragazze sfollate abbiano diverse priorità come esigenze umanitarie, di sostentamento e altre più urgenti come cibo, acqua potabile e medicine, è essenziale essere accanto a loro e supportarle con capacità di azione per consentire loro di affermare i propri diritti e resistere alle pressioni di sottoporsi a MGF.

Alcuni Target dell’obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030: 5.1 Porre fine a ogni forma di discriminazione nei confronti di tutte le donne, bambine e ragazze in ogni parte del mondo. 5.2 Eliminare ogni forma di violenza contro tutte le donne, bambine e ragazze nella sfera pubblica e privata, incluso il traffico a fini di prostituzione, lo sfruttamento sessuale e altri tipi di sfruttamento. 5.3 Eliminare tutte le pratiche nocive, come il matrimonio delle bambine, forzato e combinato, e le mutilazioni dei genitali femminili. 5.5 Garantire alle donne la piena ed effettiva partecipazione e pari opportunità di leadership a tutti i livelli del processo decisionale nella vita politica, economica e pubblica.

Fonte: askanews.it

Ecco gli indicatori da considerare

Anche se potabile, quindi conforme agli standard sanitari, l’acqua può contenere sostanze che ne compromettono la purezza. Ecco gli indicatori da considerare e i test da effettuare a casa A prima vista, l’acqua che arriva nelle nostre case sembra tutta uguale. Tuttavia, può contenere sostanze che ne influenzano la qualità. Sebbene l’acqua potabile rispetti i più rigorosi standard di sicurezza stabiliti dalle autorità sanitarie, può nascondere elementi invisibili a occhio nudo che spesso sfuggono alla nostra percezione. Queste sostanze, pur non rappresentando un pericolo immediato, possono incidere sul nostro benessere.

“È difficile, senza gli strumenti adeguati, capire se l’acqua che scorre nei tubi di casa, che utilizziamo per bere, cucinare e per gli elettrodomestici, sia effettivamente pura – afferma Lorenzo Malara, CEO di Virtus Italia, azienda specializzata nel trattamento delle acque – ma ci sono comunque alcuni aspetti da tenere in considerazione che ci aiutano a valutare la qualità dell’acqua che utilizziamo ogni giorno”.
Ma come possiamo capire se l’acqua che consumiamo nasconde impurità? Esistono alcuni segnali visivi e sensoriali ai quali prestare attenzione: colore, odore e gusto. In primo luogo, l’acqua deve essere limpida. Qualsiasi torbidità o scolorimento potrebbe essere indicativo della presenza di contaminanti. Per esempio, sostanze di trasporto, come terra o ruggine, possono alterare la qualità dell’acqua. Un segnale comune di contaminazione si verifica quando, dopo un periodo di assenza da casa, l’acqua che scorre dal rubinetto appare marrone, gialla o di altri colori.

Anche l’odore e il sapore sono indicatori importanti. L’acqua non dovrebbe mai avere un odore o un gusto troppo pronunciato. Talvolta, però, si potrebbe percepire un sentore di cloro. “L’acquedotto, per garantire che l’acqua sia priva di batteri e virus, è obbligato ad aggiungere cloro – spiega Lorenzo Malara – questo è il motivo per cui si potrebbe avvertire un odore simile alla candeggina quando apriamo il rubinetto, soprattutto con l’acqua calda. Sebbene questo trattamento sia positivo, il cloro è una sostanza chimica che può avere effetti sulla nostra pelle, come la sensazione di secchezza dopo la doccia, e sulla salute in generale, dato che la stessa acqua del rubinetto la usiamo per bere e cucinare. Inoltre, sapori saponosi, amari o metallici potrebbero essere segnali di contaminazione”.

Un ulteriore aspetto sottovalutato riguarda il percorso dell’acqua. Le misurazioni della qualità vengono effettuate alla fonte, non quando l’acqua arriva al rubinetto di casa. Durante il tragitto, infatti, può venire contaminata da tubazioni vecchie, infiltrazioni o materiali di scarsa qualità, che alterano la sua composizione e possono comprometterne la salubrità. Per verificare la qualità dell’acqua di casa, è possibile eseguire alcuni test fai da te, senza ricorrere a strumenti professionali. Un metodo interessante consiste nell’osservare i cubetti di ghiaccio. Se si preparano dei cubetti di ghiaccio con acqua del rubinetto, si può osservare se sono limpidi e trasparenti, o se appaiono opachi, biancastri o completamente bianchi. Durante il congelamento, le impurità tendono a concentrarsi al centro del cubetto, facendolo apparire biancastro. Se l’acqua è pura, i cubetti saranno trasparenti; se è più pesante, con sostanze disciolte in eccesso, il ghiaccio sarà bianco. Se i cubetti sono completamente bianchi, l’acqua potrebbe essere particolarmente “pesante”. “È possibile utilizzare anche l’acqua minerale per confrontare la differenza e vedere se è di buona o scarsa qualità”, suggerisce Lorenzo Malara.

Un altro metodo per testare la qualità dell’acqua consiste nel bollirla. Molti credono che l’acqua bollita sia sempre sicura da usare, ma non è del tutto vero, inoltre proprio attraverso questo processo è possibile valutare la sua qualità. Basta riempire una pentola con acqua del rubinetto, portarla a ebollizione e lasciarla sul fuoco per 20-30 minuti. Successivamente, prendere un bicchiere di vetro e un cucchiaio, versare l’acqua nel bicchiere, ricordandosi di mettere prima il cucchiaio per evitare che il vetro si rompa. Dopo 2-3 minuti, agitare il bicchiere e osservare come appare l’acqua: limpida, opaca o torbida? “Molto probabilmente non sarà perfettamente limpida, poiché l’acqua del rubinetto spesso contiene minerali, calcare e altre sostanze che, durante la bollitura, si concentrano – continua Lorenzo Malara – è per questo che dovremmo usare acqua leggera e pura, soprattutto per cucinare e preparare bevande calde”. Inoltre, se nella pentola si è formata una patina bianca, è un ulteriore indicatore della presenza di impurità nell’acqua.

Questi segnali suggeriscono che, pur essendo potabile, l’acqua che consumiamo potrebbe non essere completamente priva di contaminanti. Per migliorarne la qualità, sarebbe consigliabile depurarla. Questo permette di filtrare le sostanze più pesanti, come metalli e calcare, mantenendo intatte le molecole più leggere e salutari, come l’ossigeno e l’idrogeno. Un processo che può contribuire a ottenere un’acqua più pura e sana, favorendo la nostra salute e preservando gli elettrodomestici. “Attraverso tecnologie avanzate, è infatti possibile rimuovere contaminanti e ottenere acqua di maggiore qualità. Le moderne tecniche di purificazione, come l’osmosi inversa, che utilizzano la separazione molecolare e permettono di abbattere gli inquinanti fino al 95%, sono utili per garantire che l’acqua che consumiamo sia priva di agenti patogeni e impurità, riducendo in modo significativo anche l’utilizzo di plastica”, conclude Lorenzo Malara.

Fonte: askanews.it

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