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Rich girl face: giovanissimi che vogliono assomigliare a idoli social

Boom di richieste di adolescenti al chirurgo estetico.
Labbra carnose, zigomi pronunciati, qualsiasi parte del corpo esposta e inneggiata: queste le caratteristiche più diffuse che trasformano le persone in ‘personaggi’, dando loro un ruolo anche all’interno di questa società che non è solo l’epoca dell’immagine ma anche dell’immaginario
“Rich girl face” è il nuovo fenomeno che sta progressivamente spopolando tra ragazze e ragazzi molto giovani che frequentano gli studi di medicina estetica per subire una ‘trasformazione’ della propria immagine e assomigliare sempre di più ai canoni di bellezza percepiti secondo la moda del momento, quella diffusa tra i personaggi più popolari. La medicina estetica viene vissuta sempre più spesso come una procedura per assomigliare ai personaggi di certi ambienti ‘social’, fenomeno che sottende una modificazione dei comportamenti molto importante. I medici estetici, che vivono la situazione dall’interno, hanno iniziato a porsi delle domande, soprattutto a tutela dei pazienti più giovani, come gli adolescenti e i giovanissimi fino ai 24 anni che sono sempre più condizionati dai social media.
“Rispetto al passato – spiega Nadia Fraone, consigliere della Società Italiana di Medicina Estetica (SIME) – registriamo una vera e propria inversione di tendenza: mentre fino a pochi decenni fa si tendeva a nascondere i trattamenti di medicina estetica, adesso si pensa a quest’ultima come ‘medicina del benessere’ intesa soprattutto come possibilità di curare la propria immagine. E anche la medicina estetica risente di queste nuove richieste, non trovandosi più ad accompagnare il paziente nel percorso normale di invecchiamento ma piuttosto a ‘aiutare’ una vera e propria trasformazione della persona”.
Una medicina estetica come strumento per assomigliare a canoni di bellezza conclamati dai social media: labbra carnose, zigomi pronunciati, un corpo da esporre e esibire: queste le caratteristiche più diffuse che trasformano le persone in ‘personaggi’, dando loro un ruolo che appartiene più che all’epoca dell’immagine a quella dell’immaginario. “Si tratta di un fenomeno sociologico che rivela la fragilità e l’insicurezza dei giovani, che non hanno un’identità precisa e trovano così il modo di crearsela ad imitazione di idli dei social media – osserva la dottoressa -. È qui che interviene la consapevolezza del medico estetico, che nel suo lavoro realizza il concetto di ‘bello’ sul corpo si un’altra persona. E per far questo deve riuscire a consigliare e ascoltare il giovane paziente per far capire che corpo e psiche non sono due cose distinte ma univoche, e che il benessere passa attraverso la consapevolezza e il miglioramento di entrambi”.
L’aumento volumetrico delle labbra è l’intervento più richiesto in medicina estetica dalle giovani donne, ma anche il botulino preventivo per le rughe o l’aumento delle aree zigomatiche sono interventi molto gettonati. La ‘Rich girl face’ è un fenomeno alla portata dei più, sostenibile e raggiungibile dalla maggior parte dei ragazzi, soprattutto perché si tratta di un modo di cambiare atteggiamento nei confronti del proprio corpo e quindi del mondo esterno. Tra gli obiettivi di una specifica sessione sul tema nell’ambito del Congresso di Medicina Estetica della SIME, con il coinvolgimento di figure specializzate come psichiatra, psicologo e sociologo per la valutazione – da parte dei medici estetici – di quanto e quando è opportuno intervenire sul corpo di chi ne fa richiesta, interpretando e comprendendo le richieste di bisogni che vanno al di là delle reali necessità.

Fonte: askanews.it 

SSN ancora costretto a comprare plasmaderivati sul mercato estero

Cresce la raccolta di plasma in Italia ma ancora non basta per ottenere l’autosufficienza in materia di medicinali plasmaderivati. I dati preliminari del monitoraggio del conferimento di plasma per frazionamento nel 2023 confermano quelle che erano state le tendenze registrate già nei primi mesi dell’anno passato, con una crescita della raccolta che si attesta sui 4,3 punti percentuali. Secondo il primo monitoraggio quindi, nell’anno appena concluso sono stati raccolti 880mila chili di plasma, circa 36mila in più rispetto al 2022. Gli obiettivi di raccolta sono stati centrati da quasi tutte le Regioni e Province Autonome, con alcune che sono riuscite a raccogliere anche molto più di quanto previsto dagli obiettivi annuali. I dati del 2023 confermano però che la raccolta è a due velocità, con Regioni trainanti come Marche, Friuli Venezia-Giulia ed Emilia-Romagna che raccolgono in media oltre 22 kg di plasma per 1.000 abitanti (ben più dei 18 kg che permetterebbero all’Italia un grado di indipendenza strategica dal mercato estero per il soddisfacimento della domanda di albumina e immunoglobuline). La mancata autosufficienza in materia di medicinali plasmaderivati rappresenta un danno per le tasche del Servizio Sanitario Nazionale. Secondo le stime contenute nel Programma di Autosufficienza Nazionale del sangue e dei suoi prodotti per l’anno 2023 (DM 1 agosto 2023), pubblicato in Gazzetta Ufficiale negli scorsi mesi, la spesa da sostenere sul mercato internazionale per soddisfare il 90% della domanda totale dei soli medicinali plasmaderivati driver, albumina e immunoglobuline, sarebbe stata indicativamente di 180 milioni di euro. Ma è prima di tutto un punto debole a livello strategico che, in caso di difficoltà di reperimento dei farmaci, come si sono registrate ad esempio durante gli anni di massima diffusione del COVID-19, potrebbe mettere a rischio le terapie salvavita di migliaia di pazienti italiani. “Sono dati sicuramente positivi – commenta il direttore del Centro Nazionale Sangue, Vincenzo De Angelis – che testimoniano il buon lavoro svolto da tutti gli attori del Sistema trasfusionale. Eppure ci confermano che serve ancora uno sforzo a tutti i livelli per riuscire a raggiungere l’autosufficienza che metterebbe i pazienti italiani al sicuro dalle incognite di un mercato ormai globalizzato che offre a volte solo garanzie illusorie. Bisognerà sicuramente lavorare per ridurre le differenze tra le Regioni e per aumentare la quota dei donatori di plasma e favorire l’incremento della frequenza tra una donazione e l’altra. Ci sono tantissime persone che sarebbero perfette per donare il plasma, le donne per esempio, che a volte hanno livelli leggermente più bassi di emoglobina, o persone che hanno gruppi sanguigni come l’AB che hanno un utilizzo moderato a livello trasfusionale”. Nei prossimi giorni il Centro Nazionale Sangue avvierà la campagna di comunicazione digitale “Dona anche tu il plasma”. La campagna ha lo scopo di sensibilizzare sul tema della donazione di plasma l’ampia platea dei fruitori dei social network e fornirà contenuti informativi, compreso un link con la geolocalizzazione delle strutture più vicine presso cui si può prenotare una donazione.


Fonte: askanews.it

Sopraffatti da modelli inarrivabili

“Anche in Toscana sono migliaia ogni anno i ragazzi che soffrono di ansia da social e risultano iper-dipendenti dagli smartphone. È necessario lavorare quanto prima su due fronti: quello scolastico, attraverso programmi di educazione digitale, e quello familiare, sensibilizzando i genitori”. A dirlo è Maria Antonietta Gulino, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana. “Corpi giovani, forti, belli – spiega Gulino – attitudini da supereroi, limiti inesistenti: il modello proposto dai social media, oggi, assomiglia ad una sfida costante. Quello che conta è la performance, la necessità di spingersi sempre oltre, anche a patto di fare del male agli altri o a sé stessi. La comunicazione social è rapida e attrattiva e, per questo, diventa una trappola per moltissimi giovani che soffrono perché non riescono a riprodurre quei modelli, quelle attitudini, e si sentono inadeguati”. Tra i principali effetti collaterali di questa dipendenza, quello che desta maggiore preoccupazione è senza dubbio rappresentato dall’ansia che è in grado di generare. “Gli esempi pericolosi sui social per la propria salute – prosegue Gulino – determinano stati di solitudine e disagio, che spesso assume forme più acute. Intervenire con piani terapeutici tempestivi è cruciale, in questi casi. Ancora più vitale è però fare prevenzione”. Un fenomeno che ne porta con sé un altro, direttamente correlato: “Quello dell’iper-dipendenza dagli smartphone. Un recente studio di Save the Children ci dice che oggi l’80% dei bambini che frequentano la prima media ha un cellulare, e un terzo lo usa per circa quattro ore al giorno. Dati che, se possibile, aumentano spostandosi nelle fasce adolescenziali”. L’idea lanciata, in questo senso, ha a che fare con l’educazione al digitale: “Va introdotta nei programmi scolastici – evidenzia la Presidente – coinvolgendo bambini e giovani, certo, ma anche genitori e insegnanti. Figli e studenti devono essere orientati e guidati ad un uso consapevole dei loro device, sui quali, esprimendosi e osservando, sviluppano in larga parte la loro capacità critica. Ascolto, dialogo e confronto sono elementi indispensabili per una prevenzione adeguata e per la promozione di una salute consapevole”. Ma non basta. Per creare nuovi navigatori digitali consapevoli è necessario portare a compimento un altro passaggio, che riguarda il contesto familiare: “Dobbiamo coinvolgere i genitori – conclude la presidente – in un processo di conoscenza e accompagnamento, sensibilizzandoli ad essere più vigili specialmente nella fascia d’età dei più piccoli”.


Fonte: askanews.it

Studio Jama: antidepressivi efficaci e sicuri anche per loro

I farmaci antidepressivi non rappresentano un pericolo per le persone con malattia cardiaca – per le quali l’incidenza di depressione arriva al 30% rispetto al 5-7% della popolazione generale – né per chi ha avuto un infarto miocardico, né per chi soffre di dolore toracico funzionale e né per chi è affetto da una malattia coronarica. Per questi pazienti il trattamento farmacologico contro la depressione è efficace tanto quanto lo è per coloro che non hanno alcun problema cardiologico. Sono inoltre sicuri, anche se un po’ meno efficaci, per i pazienti con lombalgia o con lesioni cerebrali traumatiche. A fare chiarezza una volta per tutte sul timore infondato che gli antidepressivi non siano una terapia indicata per coloro che hanno una o più malattie fisiche, è stata un’ampia revisione sistematica e meta-analisi, pubblicata sulla rivista JAMA Psychiatry. I risultati della ricerca, condotta dall’Università Charité di Berlino e dall’Università di Aarhus in Danimarca, sono stati discussi al XXV Congresso Nazionale della Società di NeuroPsicoFarmacologia (Sinpf), dedicato a “Le neuroscienze del domani: la neuropsicofarmacologia verso la precisione e la personalizzazione delle cure”.

“La depressione è la patologia mentale più frequente in Italia, con oltre 3 milioni di persone che soffrono di sintomi depressivi e una prevalenza in ulteriore aumento a seguito della pandemia da Covid-19 – spiega Claudio Mencacci, Co-Presidente Sinpf e direttore emerito di Neuroscienze all’Ospedale Fatebenefratelli-Sacco di Milano -. Numerosi studi internazionali hanno mostrato che tra i malati di patologie croniche diffuse, come il diabete o l’insufficienza cardiaca, in Italia l’incidenza della depressione è del 30%. Una percentuale altissima se paragonata a quella riscontrata tra la popolazione in generale, che oscilla tra il 5 e il 7%”. Ma la relazione tra patologie croniche e depressione è bidirezionale. “Non solo un malato cronico ha un rischio maggiore di cadere in depressione, rispetto al resto della popolazione – specifica Mencacci -. Anche chi è depresso ha una possibilità maggiore di ammalarsi di patologie croniche. Per questo è fondamentale avere ben chiaro quali siano le opzioni di trattamento per i pazienti con depressione e altre comorbidità”.

Sebbene gli antidepressivi siano il trattamento di prima linea per ogni manifestazione di disturbo depressivo maggiore, la maggior parte degli studi mirati a valutare la sicurezza e l’efficacia di questi farmaci escludono i pazienti con altre comorbidità. Pertanto, l’uso degli antidepressivi nel trattamento della depressione in pazienti con altre malattie è poco compreso. “Questo nuovo studio colma una lacuna importante – spiega Matteo Balestrieri, Co-Presidente SINPF, direttore della Clinica Psichiatrica dell’Azienda Sanitaria Universitaria di Udine -. Basato su 176 revisioni sistematiche che hanno preso in considerazione ben 43 malattie e 52 meta-analisi riguardanti 27 diverse condizioni mediche, il lavoro conclude che gli antidepressivi sono sicuri ed efficaci anche per i pazienti che soffrono di depressione con patologie pregresse, come il cancro, le malattie cardiache e metaboliche, nonché i disturbi reumatologici e neurologici”. Si tratta di una buona notizia per le persone con depressione e problemi di salute fisica, ed è molto rilevante per la pratica clinica. “La qualità della vita è spesso gravemente compromessa, soprattutto dalla depressione – spiega Mencacci -. Sappiamo anche che il decorso della malattia fisica è peggiore nei pazienti che soffrono anche di depressione. Quindi, trattare questi pazienti con antidepressivi in aggiunta ad altre misure terapeutiche può essere davvero di grandissimo aiuto”.

Tuttavia, rimane la necessità di fare attenzione alle eventuali controindicazioni e interazioni con altri farmaci assunti dai pazienti. “Per fortuna però oggi esistono molti antidepressivi con meccanismi d’azione diversi – conclude Balestrieri -. Quindi, quasi sempre, esiste almeno un farmaco adatto per trattare la depressione per ogni paziente, a prescindere dalla storia medica. È molto importante, naturalmente, la corretta gestione della terapia, una volta iniziata. Come per ogni tipo di paziente”.

 

Fonte: askanews.it

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